
Un asset dimenticato che torna al centro
Nel 2025, i terreni produttivi — agricoli, artigianali e industriali — stanno tornando a occupare un ruolo centrale nella strategia di investimento immobiliare.
Dopo anni in cui il focus del mercato si è spostato sugli immobili costruiti, l’aumento dei costi edilizi (+28% dal 2020 al 2024, fonte ANCE) e la scarsità di aree edificabili in zone strategiche hanno riportato l’attenzione verso il valore del suolo come asset primario.
Il terreno, soprattutto se urbanizzato o inserito in contesti produttivi consolidati, non è più considerato un bene statico o di lungo termine, ma un veicolo di redditività potenziale, spesso più flessibile e sicuro di un immobile datato.
A differenza dei fabbricati, non genera costi di manutenzione, non è soggetto a obsolescenza tecnologica e — se pianificato correttamente — può garantire ritorni significativi tramite valorizzazione, permuta o concessione d’uso.
Il valore tecnico del terreno nel ciclo industriale
Nel contesto industriale e logistico, il terreno rappresenta oggi la prima leva strategica di ogni progetto immobiliare.
Il suo valore non deriva soltanto dall’estensione, ma dalla combinazione di cinque variabili tecniche:
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Accessibilità e viabilità primaria: prossimità a svincoli, infrastrutture e nodi di trasporto (autostrade, ferrovie, interporti).
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Destinazione urbanistica: la classificazione in PRGC o PGT incide fino al 60% sul valore di mercato; un’area D1 o D3 può triplicare il valore rispetto a un’area agricola.
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Indice edificatorio: la capacità di generare superficie coperta e volumetria utile.
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Servitù e vincoli: aspetti ambientali, idrogeologici o paesaggistici che influenzano la fattibilità.
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Capacità di trasformazione: cioè la rapidità con cui un terreno può passare da agricolo a edificabile o da edificabile a produttivo attivo.
Nel 2025, il valore medio dei terreni industriali urbanizzati in Piemonte, Emilia e Lombardia oscilla tra 80 e 150 €/mq, mentre in aree logistiche strategiche come Verona, Tortona o Piacenza supera i 250 €/mq.
Le aree non ancora urbanizzate ma già inserite nei piani comunali si attestano tra 25 e 60 €/mq, con potenziale di rivalutazione superiore al 200% nei successivi cinque anni, a seconda dell’iter urbanistico.
Le nuove forme di redditività
Il concetto di “rendita fondiaria” oggi si è evoluto in rendita strategica, dove il terreno non è solo base fisica ma piattaforma di business.
Tra le formule più interessanti del 2025:
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Concessione d’uso pluriennale: sempre più diffusa per impianti fotovoltaici, aree logistiche temporanee, cantieri o spazi di stoccaggio. Rendimento medio tra il 4% e il 7% annuo, con contratti di 10–20 anni.
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Permuta immobiliare: utilizzata da imprese edili e fondi locali, consente di conferire il terreno in cambio di quote di immobili futuri o diritti edificatori, riducendo l’esborso iniziale.
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Lottizzazione in proprio: strategia riservata a operatori strutturati, che acquisiscono terreni agricoli in zone con potenziale di espansione per poi rivenderli urbanizzati a PMI.
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Partnership energetiche: forte crescita delle operazioni di leasing del suolo per impianti agrivoltaici o comunità energetiche, con canoni indicizzati e durata trentennale.
Questi modelli rendono il terreno un asset attivo e programmabile, lontano dall’immobilismo tipico della rendita passiva.
Il proprietario diventa gestore di opportunità, capace di decidere se mantenere, valorizzare o monetizzare il bene in base al contesto di mercato.
L’orizzonte 2025–2026: trasformazione e scarsità
L’offerta di aree produttive idonee alla costruzione di nuovi impianti industriali è in forte contrazione.
Molti comuni hanno ridotto l’espansione dei Piani Regolatori, e la spinta verso la rigenerazione urbana limita ulteriormente la disponibilità di suolo vergine.
Parallelamente, il reshoring manifatturiero — ovvero il ritorno in Italia di attività produttive precedentemente delocalizzate — sta generando una nuova domanda di lotti produttivi medi (tra 2.000 e 10.000 mq), particolarmente forte nel Nord Italia.
Nel 2025, la concorrenza per l’acquisizione di terreni pronti all’uso è elevatissima: i tempi medi di assorbimento per aree con destinazione produttiva approvata si sono ridotti da 14 a 7 mesi.
Le imprese con disponibilità di suolo già urbanizzato si trovano oggi in una posizione di vantaggio strategico, poiché possono offrire risposte immediate a richieste di insediamento industriale o logistico, in un contesto dove la rapidità è spesso la chiave per ottenere finanziamenti o incentivi.
Conclusione: il ritorno al valore originario
Il terreno, per anni considerato un investimento secondario, sta riconquistando il ruolo di capitale primario dell’economia reale.
In un mercato dove gli immobili esistenti sono spesso sovraprezzati o energivori, il suolo rappresenta la materia prima del futuro: rinnovabile nelle sue funzioni, adattabile ai cambi di destinazione, e strategico nella pianificazione industriale.
Saper leggere oggi il potenziale di un’area produttiva — in termini urbanistici, logistici ed energetici — equivale ad anticipare il valore immobiliare di domani.
Per gli operatori più attenti, il terreno non è più un “pezzo di terra”, ma un capitale silenzioso che, gestito con competenza, può generare redditività e potere contrattuale per i prossimi decenni.
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